FRISE
La frisa è un tarallo di grano duro cotto al forno, tagliato a metà in senso orizzontale e fatto biscottare sul piano del forno. Ne consegue che essa presenta una faccia porosa e una compatta.
Prima del dopoguerra, la frisa di farina di grano era riservata alle sole tavole benestanti e in altre poche occasioni celebrative. I ceti meno abbienti della popolazione consumavano frise derivate dall'impasto di farina di orzo o miscele di orzo e grano.
La frisa può essere conservata per un periodo lungo e questo la rendeva una valida alternativa al pane, nei periodi in cui la farina era più scarsa. In Puglia è nota anche come il pane dei Crociati giacché favorì l'accasermamento e il viaggio delle truppe cristiane.
In passato in Puglia si usava bagnare le frise direttamente in acqua di mare, e consumarle condite col solo pomodoro fresco, premuto per far uscire il succo.
Nelle tradizione salentina, comune ad altre tradizioni contadine, si procedeva con cadenza regolare alla panificazione, spesso in capientissimi forni a legna comuni o pubblici.
Nel Salento la tradizione della panificazione "secca" è tuttora conservata in pochissimi centri minori e famiglie, spesso associata alla coltivazione in proprio di grano. Attualmente la frisa è prodotta da forni commerciali in varie pezzature e venduta in confezioni imbustate nei supermercati di tutta Italia.
TARALLINI
Da dove nasca la parola tarallo, non si sa con certezza. Per cui si sprecano le ipotesi: c’è chi dice dal latino “torrère” (abbrustolire), e chi dal francese “toral” (essiccatoio). Facendo riferimento alla sua forma rotondeggiante, qualcuno pensa che tarallo derivi invece dall’italico “tar” (avvolgere), o dal francese antico “danal”, (pain rond, pane rotondo).
La tesi più attendibile vuole peraltro che tarallo discenda dall’etimo greco “daratos”, “sorta di pane”. Se non è chiaro da quale etimo nasca il tarallo, si sa invece dove cresce: sotto un panno che ne favorisce la lievitazione. E soprattutto si sa quando il tarallo si è diffuso, e perché.
Per taralluccio s’intende quindi il tarallo per antonomasia e cioè quello napoletano di formato ridotto tutt’al più e non,come qualcuno crede il tarallino. Col termine “tarallini” s’intende invece la varietà pugliese. Il tarallino pugliese si è diffuso in Italia (e all’estero) prima di quello napoletano. Già all’aspetto, appare molto diverso dal suo cugino napoletano: più piccolo, liscio, di calibro minore, è fatto con l’olio d’oliva, e non ha le mandorle. Spesso vi si aggiungono semi di finocchietto e/o di peperoncino. Il tarallino pugliese nasce probabilmente dal “daratos” greco: da quella “sorta di pane” greco da cui proviene anche il tarallo napoletano. Poi però ha preso una strada differente, grazie all’olio del tavoliere di Puglia che ne è diventato ingrediente fondamentale. .
I tarallini pugliesi sono sempre stati piccoli come adesso. Le sue dimensioni ridotte, associate ad un basso potere calorico (non contengono sugna!), li hanno resi adattissimi come aperitivo. E come accompagnamento agli aperitivi. Va ricordato che - per ironia della sorte - l’Italia, che fino a non moltissimi anni fa faceva la fame, è attualmente leader mondiale nella …. consumo degli aperitivi.
Questo tipo di bevanda viene abbinata comunemente agli snacks: salatini, arachidi, e - appunto - tarallini pugliesi. Piccoli, leggeri, e dunque adattissimi allo scopo. L’esportazione del tarallino pugliese, ormai consolidata, nasce proprio da quest’impiego.
La sua produzione non è del resto particolarmente complicata: mancando dell’”intreccio” manuale della pasta, il tarallino pugliese non ha bisogno di una sofisticata lavorazione artigianale. Da quanto si è detto, non sorprende che il tarallino pugliese, consumato come (e con l’) aperitivo, abbia “aperto” la strada alla produzione del tarallo napoletano di dimensioni ridotte, desideroso di inserirsi in questa ghiotta fascia di mercato.
PUCCE
Le pucce sono forme di pane aventi diametro di circa 20-30 centimetri facenti parte della tradizione culinaria della Puglia Centromeridionale. In particolare tale tradizione è molto diffusa nella città di Taranto, in alcune zone della sua Provincia e nella Provincia di Lecce.
La "Puccia Caddhipulina" è una variante della puccia e viene preparata nella cittadina di Gallipoli il 7 dicembre, la vigilia della festa per l'immacolata concezione.
Si tratta di una forma di pane con molta mollica che viene di norma farcito con burro, tonno, pomodori, capperi, acciughe e tanto olio extravergine d'oliva. Tradizione Gallipolina, viene prodotta in vari formati che partono dai 250gr sino ad un kilogrammo.
MUSTACCIOLI
I mustazzoli sono dolci tipici del Salento (Puglia meridionale) a base di farina, zucchero, mandorle, limone, cannella, miele ed altri aromi. Sono ricoperti da una leggera glassa a base di cioccolato.
Il termine deriva dalla lingua latina. Non dal latino mustum (il mosto) come si era pensato in principio, bensì da mustace, cioè alloro. In origine si preparava il mustaceum, una focaccia per le nozze, un dolce avvolto in foglie di mustace (alloro) che dava aroma durante la cottura. Da qui il proverbio loreolam in mustace quaerere, ovvero: cercare inutilmente nella focaccia le foglie di alloro che si erano bruciate nel forno.
I mustazzoli sono noti anche come: mustaccioli, zozzi (a causa della glassa al cioccolato sulla superficie), mostaccioli e, più raro, mustazzueli. I mustazzoli hanno origini arabe e infatti come nell'usanza di questa civiltà anche questi biscotti, come il pane arabo, non sono lievitati. Era una tipica abitudine, ancora oggi in vita, cuocere e consumare questi dolci durante le ricorrenze e le feste sacre.
Secondo la tradizione questi particolari biscotti potevano essere modellati in varie forme: per la tradizione cristiana forme di pesce e di uccello; per quella pagana forme di donna, serpente o lettere. Molte regioni rivendicano la paternità di questo delizioso biscotto, è usato tantissimo infatti in Puglia, in Sardegna, in Calabria, in Sicilia, nel Lazio, in Campania e in Lombardia.
PURCIDDHRUZZI
I Purciddhruzzi anche Purcidduzzi o Pizzi cunfitti sono tipici dolci natalizi diffusi nel Salento e in tutta la Basilicata. Hanno forma di gnocchetti passati sul rovescio di una grattugia. Il nome deriva dal fatto che la loro la forma ricorda di piccoli porcellini.
Tradizione tarantina vuole che l'ultimo Purceddhruzzi, venga mangiato il giorno di Sant'Antonio Abate , il 17 gennaio ; perchè questo santo viene rappresentato con un porcellino a seguito. In tutte le varianti, si realizzano utilizzando farina, lievito di birra, vino bianco, acqua e sale.
Per impastare non si usano uova, bensì succo di arancia, mandarino e liquore di anice. Sono conditi con miele , anesini e cannella .
PITTEDDHE DOLCI
Le pitteddhe sono dolci arcaici, considerati un dolce povero della cucina contadina.Ha però una importante caratteristica, se ben chiuso si conserva per giorni senza perdre la primitiva fragranza.
Oggi le pitteddhe sono ritornate di moda e si trovano nei forni e nei negozi di prodotti tipici salentini.